Tema ricorrente del periodo successivo le festività natalizie sta nell’offrire una seconda vita agli alberi di Natale che hanno abbellito dimore, uffici, vie e piazze cittadine fino a pochi giorni prima. Attitudine senza dubbio lodevole per lo spirito ecologista dell’intento, ma che non tiene sufficientemente conto di aspetti ecologici scientificamente rilevanti. E’ il caso di chiarire alcuni aspetti affinché le buone intenzioni camminino di pari passo con lo studio e la competenza.
In primo luogo, per concedere una seconda vita a una pianta, è necessario conoscerne bene la prima. Gli alberi che vengono acquistati comunemente sono abeti (in particolare abeti rossi) nati da seme con il preciso scopo di restare a lungo in un vaso per essere addobbati una volta raggiunta una certa dimensione. Diversamente, quindi, dalle pianticelle ben più piccole destinate invece alla forestazione delle aree montane dove questa conifera vive allo stato naturale. Tale forzatura in vaso si ripercuote sullo sviluppo della radice e dell’albero stesso, che faticherà ad affermarsi una volta inserito in piena terra. Una volta superato lo stress da impianto, l’albero va incontro con maggiore probabilità a varie patologie, all’attacco di parassiti tali da compromettere lo stato di salute e la staticità nel tempo.
Con l’estremizzazione dei fenomeni atmosferici dovuti ai cambiamenti climatici, l’ultima cosa da augurarsi è un arredo del verde composto da esemplari fragili e poco adatti al suolo e al clima locali. Ricordiamo che l’adattamento, assieme alla mitigazione, sono il binomio chiave nel contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici ed è pertanto fondamentale che la scelta delle specie arboree e arbustive sia valutata attentamente e rispetti, oggi molto più di un tempo, le caratteristiche pedo-climatiche del luogo in cui esse verranno inserite. Se non viviamo in una ridente località di montagna qualche problema di troppo gli abeti piantati forzatamente in pianura possono dare.
Anche se nelle nostre città è possibile “trasgredire” il principio di rispetto degli ecosistemi forestali che si devono rigorosamente applicare negli ecosistemi naturali, resta il principio che una specie autoctona (cioè insediatasi spontaneamente, secondo lunghi processi di selezione naturale, in una data area geografica) è da preferire sia per le sue maggiori capacità di adattamento e di rusticità (che si traducono in minori costi di manutenzione), sia per la sua spiccata capacità di migliorare la biodiversità urbana.
Se la Pianura padano veneta nei secoli non fosse stata bonificata e deforestata per concedere spazio alle coltivazioni e agli insediamenti umani, in natura oggi non troveremo certo le foreste di conifere delle nostre montagne ma un’immensa foresta di latifoglie dominate dalla Farnia, dall’Olmo campestre, dal Carpino bianco, alternata a zone paludose dominate da Ontani neri, Salici e Pioppi appartenenti a varie specie e, nei pressi del mare, una foresta più termofila costituita di Roverella, Leccio e dall’Orniello. Di tali principi tengono conto anche i regolamenti comunali del verde delle città in cui essi sono entrati in vigore, che comprendono sempre in appendice una lista di specie autoctone o quanto meno ben acclimatate da privilegiare nell’impianto di nuovi alberi. In queste liste gli abeti, nelle città della Pianura padana, non compaiono mai.
Uno o più Abeti rossi ben poco possono fare per soddisfare le esigenze ecologiche del nostro territorio. Del resto, la vertiginosa perdita di biodiversità conosciuta nell’ultimo secolo dalla Pianura padana è avvenuta anche a causa dell’eliminazione o semplificazione di questi ecosistemi complessi, inserendo in natura specie aliene in sostituzione di quelle autoctone.
Alle api e agli insetti pronubi in genere, agli uccelli e a un’infinità di altre specie fungine, vegetali e animali di una determinata zona, servono ecosistemi diversificati e composti da una varietà di specie tipiche del luogo consociate fra di loro.
Persino riportare gli alberi di Natale nelle aree geografiche di origine si rivelerebbe controproducente, poiché inserendo in natura soggetti poco sani per le suddette ragioni, aumenterebbe il rischio di danni sanitari ed ecologici agli ambienti forestali stessi.
Cosa fare quindi?
Se proprio non si volesse fare a meno di allietare il Natale col classico abete, ci si dovrebbe almeno accertare prima dell’acquisto che possa essere restituito al vivaio dopo l’utilizzo. A nostro avviso la soluzione più auspicabile è evitare di acquistarli e con un minimo di originalità, addobbare gli alberi e gli arbusti in vaso che si possiedono già, o acquistare esemplari vivi di specie adatte al nostro ambiente egualmente reperibili nei vivai: sempreverdi facilmente gestibili come il ginepro o tanti altri arbusti come la fillirea, il bosso e il ligustro, che si adattano a lungo in vaso e, nel caso di impianto in pieno campo, possono dare minori problemi gestionali, o addirittura migliorare la biodiversità del proprio giardino o terrazzo.
Per l’Associazione WWF Provinciale di Rovigo
Il Presidente
Eddi Boschetti